TOUR DEI GIGANTI
Domenica 12 Settembre, nella piazza di Courmayeur siamo in 320 ad indossare il pettorale.Non la si può proprio definire una gara, è più un viaggio in un mondo diverso dallo stress quotidiano e dalla vita di tutti i giorni. Difronte a noi ci sono 340 Km dove avremo la possibilità di confrontarci con noi stessi più che con gli altri, di conoscere altre persone e vi giuro di conoscere molto bene quali mirabolanti cose può fare il nostro corpo.Il paese è in festa, quando viene dato il via, tutto il centro è affollato da centinaia di persone tra parenti amici e semplici curiosi che seguono e spronano la nostra massa colorata con urla di incitamento e tifo sfegatato.
La prima parte del percorso è quella che forse rimarrà più impressa nei miei ricordi.Partiamo alle 10 del mattino il sole è già alto, una lunga fila colorata di persone si inerpica verso il col d’Arp, come usciamo dai primi boschi ai nostri occhi appare lo spettacolo del monte Bianco, ricoperto da un primo strato di neve bianchissima caduta appena qualche giorno prima. La lunga discesa verso la Thuille è la meno bella di tutto il percorso, non segue il percorso originale dell’alta via per motivi organizzativi ha però il vantaggio di portarti verso il primo grosso ristoro dove nuovamente il calore degli amici ti accoglie a braccia aperte. Spettacolare è la salita verso il rifugio Deffeys, lungo le cascate a sbalzo che ne caratterizzano il sentiero, il laghetto sommitale brilla di una luce spettacolare, sembra un lapislazulo. Quando scollino sul colle di Passo Alto incomincia ad imbrunire ma il cielo di un blu intenso continua a rischiarare il mio sentiero. Mi sto avvicinando a Valgrisenche, quando entro in paese ormai le lanterne gialle sono accese e conferiscono al villaggio un aspetto quasi fiabesco. Qui si trova la prima base vita, un arrivo intermedio dove ci si può fermare a lavarsi e rifocillarsi, c’è anche la possibilità di dormire per poter affrontare con maggior piglio le difficoltà a cui andremo in contro. Io mi fermo pochissimo, una doccia veloce, un piatto di pasta e sono pronto a ripartire, do un bacione ad Elena che mi ha seguito fino a qui dandomi tutto il supporto possibile ed immaginabile, spero di incontrarla ancora nei prossimi giorni e mi avvio in piena notte verso il col Fenetre che si rileverà anche il più ostico con i suoi 2840 mt di quota. Lungo il sentiero la fila di luci bianche che mi precede e che mi segue non è così fitta come in altre occasioni, qui ognuno ha impostato una propria tabella di marcia e i distacchi sono più marcati che in altre occasioni. Convinto di scollinare ancora con il bel tempo sono costretto ad affrontare l’intera salita sotto una pioggerellina costante ed un freddo pungente, quando sono quasi al colle l’acqua si trasforma anche in nevischio. La prima notte da affrontare senza dormire risulterà per me la più dura, sono costretto almeno una decina di volte a fermarmi e a sedermi su di un sasso per evitare che gli occhi mi si chiudano anche mentre sto camminando, con il rischio di cadere in mezzo alle roccie del sentiero. Il freddo quando ci si ferma si fa subito sentire e così dopo pochi secondi sono costretto a ripartire con tutto il mio carico di stanchezza. Finalmente il colle, lo raggiungo assieme ad altri 5 concorrenti, un piccolo generatore di corrente che va a gasolio oltre a fornire la luce al posto di controllo mi permette anche di scaldarmi le mani che ormai sono ghiacciate. Per tutta la discesa verso Rhemes Notre Dame continuo ad avere delle incredibili crisi di sonno, solo quando raggiungo il bellissimo alpeggio di Torrent la freschissima acqua, che sgorga da una fontana di legno e pietra, gettata in faccia mi consente finalmente di rivitalizzare la mia giornata.
Il sole si riaffaccia sugli alpeggi valdostani rivelando come sempre uno spettacolo inimmaginabile, la salita al col Loson è una tra le più spettacolari vuoi per il suo sentiero che si inerpica con dei lunghissimi tornanti vuoi per la leggera coltre di neve caduta la sera prima, ma per me sopratutto per la vista di uno spettacolare branco di stambecchi, almeno quindici, che con le loro enormi corna appaiono veramente come degli animali possenti, passiamo a pochi metri da loro, potremmo quasi cercare di andarli ad accarezzare ma loro non curanti di noi continuano a brucare l’erba.
Cogne la raggiungo nel caldo pomeriggio di lunedì, le flotte di turisti della domenica non ci sono più, il paese sembra un po’ assonnato e adagiato così in cima al prato di sant’orso sembra riposare in attesa dell’inverno. Molto bella è anche la salita verso il rifugio Sogno attraverso verdi boschi di pini e abeti e delle finestre di panorama che si aprono sull’intera valle.
La seconda notte mi raggiunge quando ormai sono al col Fenetre di Champorcher. La discesa la faccio tutta alla luce della mia pila frontale, conoscendo la vallata per le numerose gite fatte in inverno con gli sci d’alpinismo, il percorso è per me abbastanza intuitivo.
L’arrivo a Champorcher è una vera sorpresa, seduto al tavolo del ristoro, servito e riverito da tutto lo staff dei volontari che si prodiga per rimpinzarmi di cibarie, vengo raggiunto dalla voce di Elena, la mia compagna; uscita dal lavoro ha raggiunto in tarda serata la valle e mi è venuti in contro, così farà per tutta la settimana, avere la persona a cui si vuol bene accanto quando si fanno queste avventure è la cosa più bella che ci sia. Assieme a lei è venuto anche Cesare, mi accompagnano per tutto il tragitto fino a Donnas, una discesa interminabile dove le mie gambe incominciano a dare i primi veri segni di cedimento.
A Donnas c’è la terza base vita, finalmente decido di fermarmi a dormire, fino ad ora forse ho chiesto un po’ troppo al mio fisico è giunto il momento di fermarsi un po’. Al mattino, le 3 ore di sonno non sono state sufficienti a riprendermi del tutto, ma un ottima doccia e un ottima medicazione ai piedi mi consente di ripartire con un po’ di ottimismo. Ci sono i miei genitori, Piero e Carla, mi accompagnano per il primo tratto di salita lungo un breve tratto di asfalto poi mi addentro lungo il bellissimo sentiero in mezzo ai vigneti che mi portano fino a Perloz, attraversato il fantastico ponte romano di Moretta che supera il Lys, mi accingo ad affrontare la salita più lunga quella che mi porterà al rifugio Coda. Il passaggio al rifugio è per me una festa, essendo sullo spartiacque tra valle d’Aosta e Biellese, mi sento un po’ a casa; tanti sono gli amici che assieme al gestore del rifugio sono li ad aspettarmi e ad incitarmi. Un boccone gentilmente offertomi e via verso la valle di Gressoney. Quando arrivo al colle della Marmontana forse assisto al più bel tramonto della mia vita, il cielo si tinge di rosso e arancio e circonda la sagoma delle più alte montagne già innevate. Sono sui sentieri che già diverse volte ho percorso in allenamento, ne conosco una buona parte, ma percorrerli di notte sotto un bellissimo cielo stellato è qualcosa di magico. L’arrivo a Niel è una nuova sorpresa, ci sono tutti, Elena, Carla, Piero, Cesare e pure il papà e la mamma di Elena, Gianni e Giuseppina: il loro appoggio mi da la forza di continuare anche se incomincio ad avere qualche serio problema fisico. La salita al colle Lozoney è veramente impegnativo, mentre affronto il ripido sentiero faccio la conoscenza di un ragazzo Belga con il quale viaggerò quasi fino all’arrivo. Tiriamo il passo a vicenda e finalmente ci troviamo al colle Lozoney nemmeno senza accorgersene.
Nella discesa lungo il lungo vallone del Loo l’alpeggio di Ober è un vero spettacolo, ci accolgono con grande calore, un bel camino col fuoco scoppiettante ci riscalda mentre assaggiamo svariati formaggi e salumi gentilmente offerti. Proseguo assieme al nuovo amico e giungiamo entrambi a Gressoney, nuova base vita dopo circa 21 ore da quando ho lasciato la precedente.
Da qui in avanti riesco a viaggiare quasi sempre durante il giorno, forse è meglio specificare, cammino dalle 4 del mattino fino alle 23, 24 di sera. La valle di Gressoney attraverso il colle Pinter e il col des Fontaines, passando dal rifugio Crest è un vero e proprio spettacolo, pascoli verdi, animali ancora al pascolo, sentieri tenuti veramente bene, la bellezza del panorama è aiutato anche da un cielo blu che più blu non si può. Descrivere tutto il sentiero che da Cretaz mi porta ad Ollomont ci vorrebbe un libro intero, un continuo saliscendi in mezza costa attraverso il bivacco Reboulaz, l’oratorio di Cuney e il bivacco Clermont, l’ultimo tratto della tappa è veramente impegnativo sia la salita al col Vessonax sia la salita al colle Brison sono massacranti, soprattutto l’ultimo tratto della salita è una stretta serie di tornanti su di un ripido ghiaione, ad ogni passo alzo gli occhi al cielo per vedere se è quasi finita.
Arrivo a Ollomont, sto bene mi sento vicino al traguardo, 4 ore di riposo tra doccia, un lauto pasto e una breve dormita mi danno tantissima energia; la lunga salita al rifugio e poi al Col Champillon la faccio di buon passo inseguendo la pila frontale di un americano che è partito pochi minuti prima di me. Non posso ammirare i luoghi in cui sto transitando ma sono felice lo stesso. Riesco ad affrontare di corsa il tratto di discesa e la lunga strada forestale pianeggiante che mi porta a San Remy. Sono nel vallone del Gran San Bernardo, mi manca una sola salita, mi fermo al ristoro, sono da solo e così ne approfitto per chiaccherare con i volontari, mi informo per sapere come sono messi gli altri biellesi sul percorso, proprio mentre sono li, apprendo che uno di questi sta per venire prelevato dall’elicottero nei pressi dell’oratorio di Cuney, purtroppo è costretto ad abbandonare, ma io so già che l’anno prossimo sarà di nuovo qui a riprovarci. Riparto con lo sguardo rivolto verso il col Malatrà, l’ultimo passaggio a 2925 mt, quattro scalini di ferro, una corda e una catena metallica mi permettono di arrivare alla forcella, un urlo liberatorio, ormai è fatta.
Non lo avrei mai pensato ma l’ultima discesa si rivela una vera tortura, mi si blocca un ginocchio e mi vedo costretto a scendere dal colle camminando all’indietro. Appena prima del rifugio Bonatti mi raggiunge mio papà, mi scorta fino al rifugio Bertone ci impiego una vita, mi raggiungono tante persone che ho superato nei giorni precedenti, tutti con una parola di conforto ed incitamento nei miei confronti, avrei quasi voglia di arrendermi, ho veramente tanto male, ma fermarsi a pochissimi km dal traguardo sembrerebbe una vera follia. Al rifugio Bertone me la prendo con comodo, mi concedo anche una birra piccola gentilmente offerta dal gestore, la pausa un po’ più lunga del solito è stato un vero tocca sana o forse è la consapevolezza di essere veramente alla fine, mi riprendo e scendo fino a Courmayeur. La stradina lastricata di pietre al centro del paese e la gente che applaude il mio passaggio mi portano fin sotto lo striscione del traguardo.
E’ finita…….. sono veramente stanco ma contentissimo, sono passate 129 ore da quando sono partito da questa stessa piazza, Gross, il vincitore ce ne ha impiegate solamente 81 ma non vuol dire nulla anche se un po’ lo invidio. E’ stato un viaggio fantastico, una vera festa trail dove tutti partecipanti, accompagnatori e volontari hanno dato il meglio di se
Andrea Fiori.
Comment(1)
clementino says:
28 Ottobre 2013 at 16:04Meglio leggere che provare!!